L’importanza della maglia…

Chi ha superato la trentina forse si ricorderà che da piccoli le maglie dei calciatori erano cimeli pressoché introvabili: chi l’aveva la indossava con orgoglio smisurato, e chi non se la poteva permettere adattava con la fantasia T-shirt varie, che solo conl’immaginazione potevano somigliare a quelle dei propri beniamini. Ma non importava: quella maglia, quei colori erano qualcosa che, anche solo con la fantasia, ti facevano correre di più, giocare per ore con altri ragazzini sognando un giorno di poter arrivare a giocare in alto. Quello che conta era che quelle maglie solo cromaticamente vicine a quelle ufficiali avevano un significato. Ed è su questo che il club deve lavorare. Non solo a parole, che sono fin troppo facili da esibire davanti ai giornalisti e da dare in pasto ai tifosi. Lla vittoria è proiettata sull’aspetto personale, come un pezzo da esibire nel curriculum da portare poi in una società più blasonata.
Da tempo si parla anche di questo: il blasone, la storia, i grandi club. Balle!
Quest’anno i giocatori nelle squadre sono di valore. Il cambiamento in modello “my family” c’è stato, è innegabile: con Bova il “ragazzo” cresciuto in Victoria, con Marco Sinopoli, con Elisa Vailati, con Irene kociolek… l’equilibrio tra necessità di bilancio e modello sportivo ha trovato il suo apice. Giocatori forti ne sono arrivati, si sono lanciati giovani, la Victoria si sta confermando realta’ seppur giovane del basket torinese. Un sogno ormai di 15 anni fa. Quel punto d’incontro è far sentire orgogliosi di vestire questa maglia, senza pensare al futuro, ad altre offerte. La Victoria come punto d’arrivo e non solo trampolino per nuove mete. Con la consapevolezza che poi è ovvio che nessun matrimonio è eterno, ma che prima di arrivare al divorzio la testa dev’essere tutta sull’obiettivo. E non  perché se la Victoria vince poi anche il giocatore ha più facilità a trovare una squadra, ma perché se la Victoria vince non c’è bisogno forse di andare altrove.

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